Dopo aver affrontato le errate interpretazioni dei DPCM del giorno 8 marzo 2020 e del giorno 9 marzo 2020 in ordine al presunto e, in ogni caso, mai previsto divieto di movimento, occorre evidenziare ancora oggi le Forze di Polizia continuino, illegittimamente ad avviso di chi scrive, a denunciare cittadini per la violazione dell’articolo 650 codice penale.
Tutto parte dal presupposto che i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri non sono idonei, in base al nostro ordinamento, ad azzerare i nostri diritti costituzionali.
Assistiamo ad un accentramento di potere nelle mani dell’Esecutivo, con un controllo parlamentare che si sta via via diradando, senza contare la compressione delle prerogative delle Regioni in materia sanitaria e l’annullamento dei poteri dei sindaci.
Come è noto a tutti la nostra Costituzione nacque successivamente alla caduta del regime fascista che aveva fatto della legislazione emergenziale il modus operandi per sospendere le libertà civili.
Per tale ragione la nostra Costituzione ha incentrato il nostro sistema sul modello parlamentare, relegando il potere dell’esecutivo in via residuale ed emergenziale, ponendo, comunque, ogni atto al controllo delle Camere.
L’articolo 77 della Costituzione ha limitato la potestà legislativa del Governo alla preventiva autorizzazione parlamentare (Legislazione Delegata) o alla successiva ratificazione dei provvedimenti d’urgenza adottati con Decreto Legge.
Solo lo stato di Guerra, ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione, da al Governo i poteri per affrontarlo.
Come si è mosso invece l’attuale Esecutivo?
Dapprima con ordinanze dei vari ministeri e dei vari dipartimenti.
Successivamente nel 23 febbraio 2020 è stato emanato il decreto legge 6/2020 poi successivamente convertito in legge con cui abbiamo avuto una prima compressione dei diritti con indicazioni di carattere generale.
Da ultimo, nel concreto, le misure pià concrete e che più ledono le libertà individuali e i diritti fondamentali sono stati adottati con i famosi DPCM che, come tipi di provvedimento, non contemplano nè un controllo preventivo da parte della Presidenza della Repubblica, nè successivo da parte del provvedimento.
Alla luce di quanto sopra, quindi, il Parlamento ha perso la propria funzione, facendo, di fatto, mancare il controllo democratico da parte del potere legislativo.
Appare evidente che alla fine di questa crisi, in cui i cittadini sono mossi, magari anche giustamente, dall’affrontare l’emergenza sanitaria in atto, di fronte alle gravi conseguenze Economice e Sociali si sarà costretti ad esaminare quanto avvenuto, accertando l’illegittimità delle norme sin qui emanate.
Ancora di più, la magistratura sarà chiamata a decidere se tutte le denunce che perverrano al tavolo del Pubblico Ministero per la violazione dell’articolo 650 codice penale hanno una base o se si basano su provvedimenti legittimi, al fine di decidere in ordine all’archiviazione delle stesse o al rinvio a giudizio.
Tra i diritti fondamentali costituzionalmente protetti e oggi lesi dai famosi DPCM 8 marzo 2020 e DPCM 9 marzo 2020 c’è sicuramente il diritto di circolazione, costituzionalmente protetto dall’articolo 16 della Carta Costituzionale.
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”
Così recita la Costituzione.
Lapalissiano come le limitazioni alla libertà di circolazione siano soggetti ad una riserva esclusiva di legge ordinaria.
Invece, ad oggi, il Governo basa la sua azione non sulla legge, ma, soprattutto nelle concrete modalità di limitazione, sui Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, circostanza ancora più grave, sul delle intrepretazioni date dagli uffici del Governo stesso.
Al di là, quindi, della genericità e della contraddittorietà delle disposizioni del DPCM 8 marzo 2020 e del DPCM 9 marzo 2020, assistiamo una inidoneità degli strumenti utilizzati dal Governo ad imporre i divieti di cui assistiamo l’applicazione.
Sicuramente la tutela e la salvaguardia della salute e della sicurezza pubblica è importantissima, ma nel momento stesso in cui si scomoda il Diritto Penale, ci si deve porre degli interrogativi sotto i profili di legittimità dei provvedimenti adottati.
Posto che già, ad avviso di chi scrive, mancano i presupposti di “tipicità” della condotta, nonchè abbiamo assistito alla violazione del principio di legalità, non si può fare a meno di evidenziare come vi sia anche una violazione della riserva di legge.
Per tale regione, tutte le denunce operate dalle Forze di Polizia, sono, a parer mio, illegittime.
Altrettanto illegittime sono le condotte degli agenti che pretendono la sottoscrizione di autocertificazioni e che travalicano i loro poteri andando ad impedire la libera circolazione dei cittadini.
Sono, altresì, illegittime le decisioni di diversi Sindaci di limitare ulteriormente le già compresse libertà. posto che il Decreto Legge del 2 marzo n. 9 all’articolo 35 prevede espressamente che
“A seguito dell’adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 non possono essere adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza predetta in
contrasto con le misure statali“.
Rimagono valide, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge 23 febbraio 2020 n.6, il potere dei governatori di intervenire solo in mancanza di norme statali e nell’ambito del territorio regionale di competenza.
L’emergenza che si sta vivendo, evidentemente, comporta una compressione dei diritti costituzionali che, se oggi ci appaiono giustificati dall’emergenza sanitaria in atto, porranno sicuramente delle problematiche e dei dubbi in futuro.
Al di là dell’inapplicabilità dell’articolo 650 codice penale, dobbiamo valutare le conseguenze di questo eccesso di potere da parte dell’esecutivo, in barba ai principi della divisione dei poteri e del nostro sistema parlamentare, posto, dalla nostra Costituzione, quale baluardo a difesa delle nostre libertà civili.